
Un nuovo vergognoso episodio che va ad aggiungersi alle molteplici segnalazioni registrate negli ultimi mesi sul Garda bresciano
Prosegue l’allarme sul Garda bresciano relativo ai furti in abitazione, con tanti cittadini preoccupati e arrabbiati, ormai al limite della sopportazione, per il susseguirsi di episodi analoghi che vengono poi spesso descritti tramite i social network.
Un ultimo caso in particolare ha suscitato l’indignazione della comunità di Salò, descritto su Facebook da un cittadino che ha raccontato di aver trovato svaligiata la casa della propria nonna in via Brescia a distanza di due settimane dalla scomparsa all’età di 101 ani, postando le foto che ritraggono l’abitazione messa a soqquadro nella notte tra lunedì 24 e martedì 25 marzo.
“È stato violato tutto… ante divelte, ricordi di una vita deturpati, ma soprattutto è stata violata l’identità e la serenità di una famiglia …non ci sono parole sufficienti per commentare un atto del genere – racconta il cittadino – (…) non c’era nulla… solo un mucchio di vecchi ricordi trasformati ora in un cumulo di spazzatura”.
Un caso non certamente isolato questo, viste le molteplici denunce registrate quotidianamente in tante località del territorio (solo in via Brescia sarebbero almeno tre le abitazioni violate negli ultimi giorni), che descrivono situazioni al limite dell’umanità come ad esempio i casi di furti segnalati nell’Alto Garda messi in atto approfittando dell’assenza dei proprietari durante i funerali dei familiari.
Che la situazione sia sempre più in peggioramento è stato confermato di recente anche dai dati dell’Osservatorio sulla sicurezza della casa Censis-Verisure, realizzato in collaborazione con il Servizio analisi criminale del Ministero dell’Interno, che ha mostrato come Brescia e provincia siano sempre più nel mirino dei malviventi con il passare degli anni.
In evidenza una delle immagini diffuse su Facebook dal nipote della defunta proprietaria di casa
2025.3.26 Stupro di Palermo, cinque imputati non fanno ricorso: la sentenza diventa definitiva
Una decisione presa anche in considerazione della legge Cartabia che prevede uno sconto della pena per i condannati che non ricorrono in appello
È definitiva la sentenza per cinque dei sei imputati (più uno minorenne giudicato in altro processo) dello stupro di Palermo. La vicenda risale a luglio del 2023, quella notte in sette hanno abusato di una ragazza di 19 anni, nei pressi del Foro italico dopo una serata passata alla Vucciria. Quella notte stessa, dopo la violenza, la ragazza è stata soccorsa da un amico, è stata poi chiamata un’ambulanza per l’evidente stato di debolezza, la denuncia è quindi scattata dopo per le verifiche dei sanitari. Da quel momento sono scattate le indagini che hanno portato all’arresto di sette ragazzi, un mese dopo.
I ragazzi sono stati condannati in primo grado lo scorso 8 novembre, poco più di un anno dopo i fatti. La condanna diventa adesso definitiva perché cinque dei sei maggiorenni hanno deciso di non fare appello contro la sentenza di primo grado. Una decisione presa anche in considerazione della legge Cartabia che prevede uno sconto della pena per i condannati che non ricorrono in appello.
Farà appello, invece, Samuele La Grassa, che era stato condannato a 4 anni, la condanna minore. Tutti gli altri hanno avuto di più: Angelo Flores, Gabriele Di Trapani, Christian Maronia ed Elio Arnao hanno avuto 7 anni, mentre Cristian Barone 6 anni e 4 mesi. La Grassa, difeso dagli avvocati Claudio Congedo e Simona Ciancitta, sarà l’unico dei maggiorenni di quella notte ad attendere una nuova sentenza. Mentre il minorenne, difeso dall’avvocato Pietro Capizzi, è stato condannato a 8 anni e 8 mesi anche in secondo grado e ha fatto ricorso in Cassazione.
“Risulta drammaticamente evidente la dinamica di oggettificazione sessuale” si legge nelle motivazioni della sentenza del collegio presieduto da Roberto Murgia. I giudici hanno sottolineato nelle motivazioni il “totale disinteresse” da parte dei ragazzi, e la violenza come “mera sopraffazione fisica di una vittima ormai totalmente inerme, quale platealmente emerge dagli stessi messaggi inviati” dai ragazzi. Un giudizio ormai chiuso per cinque di loro Mentre per Flores è ancora in corso un altro dibattimento con l’accusa di revenge porn e diffusione di materiale pornografico, il ragazzo avrebbe, infatti, girato due dei tre video di quella notte e li avrebbe poi inviati ad un amico, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti.
2025.3.26 Sparatoria in centro a Milano, aggredito in strada: gli sparano al collo (e in faccia)
È successo in corso Garibaldi nella notte tra martedì e mercoledì 26 marzo. Sul caso indaga la polizia, sul posto per i rilievi
Se li è trovati a pochi passi da casa mentre stava rientrando. Probabilmente lo stavano aspettando, anche se le ragioni e la dinamica dell’agguato sono al vaglio degli investigatori. In un attimo, gli sono saltati addosso. Lo hanno aggredito prima a mani nude, poi, quando ha reagito e ha tentato di scappare, uno dei due ha estratto una pistola e ha fatto fuoco. Due esplosioni, due colpi di arma da fuoco, due proiettili che lo sfiorano al volto e al collo, facendolo crollare a terra.
Un cittadino cinese di 42 anni è stato ferito nella notte tra martedì e mercoledì 26 marzo in corso Garibaldi, una delle zone della movida milanese. Sulla sparatoria indaga la polizia.
La sparatoria
Tutto è accaduto intorno a mezzanotte, all’altezza di via Marsala, mentre il 42enne rientrava a piedi con un amico, suo connazionale, dopo una cena al ristorante. Aveva in mano una borsa con gli avanzi del pasto quando, all’improvviso, è scattato l’agguato, letteralmente sotto casa sua.
L’uomo, dipendente di un’azienda del Varesotto che si occupa di import-export di auto, si trovava in Corso Garibaldi e stava camminando in direzione dello scalo ferroviario quando due aggressori – descritti come uomini con un cappellino in testa – lo hanno bloccato, malmenato e afferrato per il collo. Nel tentativo di divincolarsi, è riuscito a fuggire, ma proprio in quel momento uno dei due lo ha rincorso, ha estratto la pistola e ha aperto il fuoco da una distanza di circa due-tre metri. Due colpi, sparati ad altezza d’uomo: le pallottole lo hanno ferito di striscio al collo e al volto. Nel frattempo, gli aggressori sono fuggiti in direzioni diverse, facendo perdere le proprie tracce.
La corsa al pronto soccorso
Immediatamente è scattata la chiamata al 112 e sul posto sono intervenute un’ambulanza e un’automedica in codice rosso. L’uomo è stato stabilizzato e accompagnato d’urgenza al Niguarda. Secondo quanto riferito, è sempre stato sveglio e cosciente e non è in pericolo di vita. Il 42enne è stato operato d’urgenza, i medici gli hanno estratto un pezzo di ogiva che si era conficcato nella nuca. Un bossolo, invece, è stato trovato sul luogo della sparatoria.
Le indagini
I contorni dell’accaduto non sono chiari e sul caso sono in corso accertamenti. Gli investigatori della squadra mobile stanno svolgendo accertamenti sul passato del 42enne. L’uomo è incensurato e ha detto di non conoscere i due uomini.
Qualche elemento utile per dare un volto e un’identità ai due aggressori potrebbe arrivare dalle telecamere a circuito chiuso della zona. Gli occhi elettronici, infatti, potrebbero aver registrato dettagli che potrebbero portare all’identificazione dei due uomini.
I precedenti nella zona di Corso Como
Negli ultimi anni la zona intorno a corso Como è stata al centro delle cronache per episodi violenti legati alla movida. Il 25 agosto 2024 un giovane di 23 anni era stato accoltellato al torace dopo una lite all’uscita di una discoteca e sempre la stessa notte un ragazzo di 18 anni era stato ferito a colpi davanti alla stazione Porta Garibaldi.
Il 13 agosto 2023, sempre davanti allo scalo ferroviario milanese, un ragazzo di 19 anni era stato accoltellato e sfregiato durante un tentativo di rapina. Il ragazzo, portato al pronto soccorso, era stato medicato con 80 punti di sutura.
2025.3.8 Tentato omicidio a Catania, fermati padre e figlio
Identificati da polizia da video sorveglianza centro scommesse
Due persone, un 50enne e un 25enne, padre e figlio, sono stati fermati dalla polizia nell’ambito delle indagini sulla sparatoria avvenuta la sera del 3 marzo scorso in via Sabato Martelli Castaldi a Catania, vicino a un centro scommesse del rione Cibali, in cui è rimasto ferito un 45enne, centrato da quattro colpi di pistola.
Nei loro confronti la Procura, che ha emesso il provvedimento eseguito lo scorso 5 marzo dalla squadra mobile della Questura, ipotizza i reati, in concorso, di tentato omicidio aggravato dalla premeditazione, detenzione e porto in luogo pubblico e ricettazione di arma da fuoco.
Alla loro identificazione gli investigatori della squadra mobile è giunta poco dopo la sparatoria dall’analisi di immagini tratte dal sistema di video-audio sorveglianza del centro scommesse.
I filmati hanno permesso di ricostruire le fasi antecedenti, concomitanti e successive al tentato omicidio che sarebbe stato commesso dal 50enne che avrebbe sparato a distanza ravvicinata sei colpi di pistola dopo un acceso litigio. Il movente sarebbe da ricondurre a screzi di natura personale intercorsi tra i due fermati e la vittima che avrebbe tenuto comportamenti inopportuni con l’ex compagna del 50enne e madre del 25enne, a cui il 45enne era stato legato sentimentalmente.
Durante una perquisizione nella casa del 25enne la polizia, occultata in un armadio della stanza da letto, ha trovato una rivoltella clandestina, priva di marca e di matricola. Il giovane è stato poi trovato, il 5 marzo, in un B&b. Lo stesso giorno il padre si è costituito negli uffici della squadra mobile.
Ai due indagati è stato poi notificato il fermo, emesso dalla Procura, e successivamente sono stati condotti nella casa circondariale di Catania. Il gip ha successivamente convalidato il provvedimento ed emesso, nei confronti dei due indagati, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

La donna che fu compagna di Enrico De Pedis, detto Renatino, ed era l’ex moglie del calciatore Bruno Giordano
E’ morta la donna che fu compagna di Enrico De Pedis, boss della banda della Magliana noto come Renatino. Sabrina Minardi, 65 anni, era l’ex moglie del calciatore Bruno Giordano. La donna, che ebbe un ruolo fondamentale nella scomparsa di Emanuela Orlandi, era in provincia di Bologna al momento del decesso. Grazie alle sue dichiarazioni nel 2006 venne aperta una seconda inchiesta sulla vicenda della ragazza, cittadina dello Stato Vaticano.
Minardi sarebbe morta nella giornata di venerdì nella comunità in cui era ricoverata in un paese alle porte di Bologna. A dare la notizia della morte sui social è stata invece la giornalista Raffaella Notariale, che assieme alla donna aveva pubblicato un libro sul caso Orlandi. Sabrina, scrive la cronista su Facebook, “si è spenta dopo essere stata dal parrucchiere, si era fatta bionda e bella perché aspettava i suoi affetti più grandi – ha aggiunto – È morta nel sonno”. Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela che scrisse la prefazione del libro, sulle sue pagine ha ripubblicato il post della giornalista.
La versione di Minardi sul caso Orlandi L’ex amante del boss, che sulle cronache divenne subito “la supertestimone”, aveva raccontato di aver visto Emanuela nella zona del laghetto dell’Eur poche ore dopo il sequestro e nel suo racconto sostenne pure di aver guidato un’auto con a fianco De Pedis mentre in un’altra macchina che seguiva c’era Emanuela. Le due auto avrebbero raggiunto Torvajanica, sul litorale romano, dove la ragazzina sarebbe stata affidata a un’altra donna. Minardi aveva spiegato inoltre che, dopo alcuni mesi, Emanuela sarebbe stata consegnata a un sacerdote dopo essere stata prelevata dalla stessa Minardi in un bar nella zona del Gianicolo, dove la Orlandi sarebbe giunta accompagnata da un’altra persona. Secondo Minardi l’ex presidente dello Ior, il cardinale Paul Marcinkus, avrebbe incontrato Emanuela nei giorni successivi alla sua sparizione.
E’ sempre della donna il racconto secondo cui il cadavere di Orlandi sarebbe stato gettato in una betoniera, sempre a Torvajanica, nel novembre del 1983. Dichiarazioni che però non avevano convinto completamente gli inquirenti romani, tanto da non essere ritenute attendibili. “A me, scrive ancora la giornalista Notariale – dispiace umanamente e professionalmente. Non uno, ma mille gli spunti che ha offerto e che i più non hanno voluto cogliere. Non ultima la Commissione d’inchiesta sul caso di Emanuela Orlandi… Cosa aspettavate, vossignori?”. La stessa commissione, solo un mese fa, aveva invece ascoltato monsignor Pietro Vergari, ex rettore della basilica di Sant’Apollinare a Roma dove il boss De Pedis era stato sepolto. Secondo l’anziano sacerdote, senza mezzi termini, Minardi era “un’imbrogliona”, pur non avendola mai conosciuta personalmente. Nel 2010 la donna era stata arrestata per un cumulo di cinque condanne passate in giudicato per reati di varia natura, comunque non legati al caso Orlandi: trascorse sei mesi in una comunità di recupero.
2025.3.8 Pedopornografia on line, 3 arresti in Sardegna
Anche una denuncia. A un indagato sequestrati 700mila file
La Polizia, nell’ambito delle attività realizzate a tutela dei minori, ha concluso un’operazione di contrasto alla pedopornografia on line su tutto il territorio sardo che ha portato all’arresto in flagranza di reato di tre persone insospettabili, un 40enne di Nuoro finito in carcere, un professionista 74enne di Cagliari e un 69 residente nel Cagliaritano finiti ai domiciliari.
Denunciato anche un quarto uomo, 58 anni, residente in Ogliastra.
L’accusa è diffusione e detenzione di materiale pedopornografico. Secondo quanto appreso, a uno degli indagati sono stati sequestrati 700mila file pedopornografici
L’attività è stata avviata sei mesi fa dal centro nazionale per il contrasto alla pedopornografia on line che, grazie alla collaborazione con l’organizzazione no profit Child Rescue Coalition, ha utilizzato avanzati tool investigativi per geolocalizzare in Sardegna alcuni utilizzatori degli account con i quali erano stati condivisi e scaricati immagini e video di pornografia minorile. I decreti di perquisizione personale ed informatica emessi dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Cagliari ed eseguiti dal centro operativo per la sicurezza cibernetica di Cagliari, con la collaborazione delle sezioni provinciali di Nuoro e Sassari, hanno consentito di rinvenire un ingente quantitativo di materiale pedopornografico.
2025.3.6 La strage ad Altavilla, la minorenne condannata a 12 anni e 8 mesi
Assieme al padre e a due amici è accusata di aver ucciso la madre e due fratelli
Apoco più di un anno dalla strage è arrivata la prima sentenza.
E, come era prevedibile, visto che l’imputata ha confessato, è stata di condanna. Per il gup dei minori Nicola Aiello, che sulla base di una perizia l’aveva già dichiarata capace di intendere e di volere, la 17enne accusata dell’omicidio della madre e dei due fratellini di 15 e 3 anni è colpevole.
Dodici anni e 8 mesi la pena stabilita dal magistrato che ha letto il verdetto alla presenza della ragazzina in lacrime. A poca distanza dall’aula del tribunale dei minorenni il padre della giovane, Giovanni Barreca, e una coppia di fanatici religiosi conosciuti durante raduni di preghiera, Sabrina Fina e Massimo Carandente, sono comparsi davanti alla corte d’assise per rispondere degli stessi reati. Complici della strage costata la vita ad Antonella Salamone, Kevin ed Emanuel, torturati e assassinati durante un folle rito di liberazione dal demonio, in una villetta di Altavilla Milicia, un anno fa.
Per loro il dibattimento è appena iniziato. “Sono una chioccia amorevole, amo i bambini, ho salvato la mia cagnetta, amo gli anziani e i disabili e non ho mai ucciso”, si è difesa la Fina nel corso di brevi dichiarazioni spontanee. Lei e l’ex compagno, entrambi detenuti, si sono sempre detti innocenti.
“Abbiamo solo pregato insieme alla famiglia per scacciare il male”, hanno detto negando di essere stati presenti durante il massacro.
Barreca, invece, ha ammesso tutto fin dal principio. Fu lui, la mattina dell’11 febbraio di un anno fa, a chiamare i carabinieri.
“Ho ucciso la mia famiglia, venite a prendermi”, farfugliò al telefono. E ai militari raccontò di essere stato costretto a assassinare moglie e figli perché posseduti dal demonio.
Frasi senza senso che l’uomo continua a ripetere, ma che non sono bastate per fargli avere l’infermità mentale. Oggi il suo legale, l’avvocato Giancarlo Barracato, ha reiterato l’istanza di non doversi procedere per infermità mentale del cliente sulla base di una perizia disposta dal gip che l’ha ritenuto non presente a se stesso e gli ha consentito di lasciare i carcere per una Rems, una struttura sanitaria di accoglienza per gli autori di reato affetti da disturbi mentali e socialmente pericolosi.
Barreca ha sempre cercato di difendere la figlia arrivando a dire che nei piani suoi e della coppia, certi che la casa fosse infestata dai demoni, anche la ragazza doveva essere sacrificata, e che era stata risparmiata solo per l’arrivo di una tempesta, interpretata come segnale divino.
La stessa fortuna non è toccata ad Antonella Salamone, la prima a essere seviziata, assassinata e bruciata – i suoi resti vennero ritrovati nel giardino di casa dai carabinieri – Kevin, che all’inizio partecipò alle torture e poi fu ucciso, ed Emanuel che, prima di morire, ha subito atroci sofferenze.
La carta dell’infermità mentale ha provato, invano, a giocarla anche Carandente che, insieme a Fina, ha chiesto il rito abbreviato. Viste le accuse la legge non lo consente, hanno risposto i giudici.
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